Citazioni e aforismi sul viaggio e sul turismo

Citazioni e aforismi sul viaggio e sul turismo

Viaggiare è più di un semplice spostarsi da un luogo all'altro: è un'avventura che arricchisce l'anima, apre la mente e lascia ricordi indelebili. Attraverso le parole di famosi scrittori e esploratori, possiamo vivere indirettamente le loro esperienze, sognare paesaggi lontani e ispirarci per i nostri futuri viaggi. Ecco una selezione di citazioni tratte dalla letteratura di viaggio, che catturano l'essenza di ciò che significa esplorare il mondo.


Tutto quello che siamo lo portiamo con noi nel viaggio. Portiamo con noi la casa della nostra anima, come fa una tartaruga con la sua corazza. (Andrej Tarkowsky)

 


Il modo migliore per cercare di capire il mondo è vederlo dal maggior numero possibile di angolazioni. (Ari Kiev)

 


Ciò che non hai mai visto lo trovi dove non sei mai stato. (Detto africano)

 


Se vuoi essere migliore di noi, caro amico, viaggia. (Goethe, Epigramme)

 


Viaggiare è nascere e morire a ogni momento. (Victor Hugo, Les Misérables)

 


I viaggi sono la parte frivola nella vita delle persone serie, e la parte seria nella vita delle persone frivole. (M.me Swetchine, Morceaux choisis)



Spostarsi, andar da un punto all'altro è una delle caratteristiche delle specie superiori. (Paul Morand, Le Voyage)

 


Al ritorno da un viaggio ci si domanda se è la terra che s'è impicciolita o se siamo noi che siamo ingranditi. (Paul Morand, Le Voyage)

 


Lascia i tuoi luoghi e cerca altri lidi, o giovane, e ti si apriranno più vasti orizzonti. (Petronio, Frammenti)

 


Noi usiamo intraprendere lunghi viaggi e navigar vasti mari, per veder cose che, quando le abbiamo sotto i nostri occhi, trascuriamo. (Plinio, Lettere)

 


Maggiore è il desiderio di conoscere le cose ignote che di riveder quelle note. (Seneca, Pensieri vari)

 


Non chiedo altro: il cielo sopra di me e la strada sotto di me. (R.T. Stevenson, The Vagabond)

 


Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi. (Marcel Proust)

 


Vi fu sempre nel mondo assai più di quanto gli uomini potessero vedere quando andavano lenti, figuriamoci se lo potranno vedere andando veloci. (John Ruskin)

 


Solo lo stolto percorre correndo il cammino della vita senza soffermarsi ad osservare le bellezze del creato. (Proverbio Tibetano)

 


La bellezza delle cose esiste nella mente di chi le osserva. (D. Hume)

 


Il viaggio non soltanto allarga la mente: le dà forma. (Bruce Chatwin)

 


Non è vero. Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto:”Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. La fine di un viaggio è solo l’inizio di un altro. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in Primavera quel che si era visto in Estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. (Josè Saramago)

 


I viaggi sono i viaggiatori. (Fernando Pessoa)

 


Tuttavia, un pessimo servizio non mi da mai fastidio. Non mi fa sentire in colpa se non lascio la mancia. (Bill Bryson. America perduta: in viaggio attraverso gli U.S.A. Milano: Feltrinelli Traveller, 1993)

 


Seguite l’impulso del momento (senza programmare nulla, nel giro di otto ore) e salite su un aereo o fate il pieno alla macchina e partite. La meta non ha importanza. L’obiettivo è viaggiare con poco bagaglio, stendere le ali e mettere alla prova la vostra capacità di mollare tutto. Lanciarsi istintivamente in un’avventura e allontanarsi per un po’ dalla propria vita è una sensazione straordinaria di libertà. (Lynn gordon, 52 cose da provare una volta nella vita, Chronicle Books, 1995)

 


In verità, il viaggio attraverso i paesi del mondo è per l’uomo un viaggio simbolico. Ovunque vada è la propria anima che sta cercando. Per questo l’uomo deve poter viaggiare. (Andrej Tarkowsky)

 


Il viaggiatore, quello saggio, impara a non cercare di ripetere i successi ma a trovarne altri in nuovi luoghi. (Paul Fussell)

 


Sono appena tornato da un viaggio di piacere: ho accompagnato mia suocera all’aeroporto. (Milton Berle)

 


Lei si sentiva sempre molto sola, perché lui faceva molti viaggi per lavoro. Un giorno lui portò a casa un San Bernardo e le disse: “Ti ho fatto un regalo. Si chiama Estrema Riluttanza. Così quando vado via potrai sempre dire che ti ho lasciato con estrema riluttanza”. Lei lo colpì con un mestolo. (C. Schulz)

 


Viaggiare è come sognare: la differenza è che non tutti, al risveglio, ricordano qualcosa, mentre ognuno conserva calda la memoria della meta da cui è tornato. (Edgar Allan Poe)

 


Il mondo è un libro, e chi non viaggia legge solo una pagina. (Sant’Agostino)

 


Tra vent’anni sarete più delusi per le cose che non avete fatto che per quelle che avete fatto. Quindi mollate le cime. Allontanatevi dal porto sicuro. Prendete con le vostre vele i venti. Esplorate. Sognate. Scoprite. (Mark Twain)

 


Scopo del viaggiare è disciplinare l’immaginazione per mezzo della realtà e, invece di pensare come potrebbero essere le cose, vedere come sono in realtà. (Samuel Johnson)

 


Un viaggio di mille miglia comincia sempre con il primo passo. (Lao Tzu)

 


Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone. (John Steinbeck)

 


La cosa più pericolosa da fare è rimanere immobili. (William Burroughs)

 


Fate che il vostro spirito avventuroso vi porti sempre ad andare avanti per scoprire il mondo che vi circonda con le sue stranezze e le sue meraviglie. Scoprirlo significherà, per voi, amarlo. (Kahlil Gibran)

 


Il viaggio deve allinearsi con le più severe forme di ricerca. Certo ci sono altri modi per fare la conoscenza del mondo. Ma il viaggiatore è uno schiavo dei propri sensi; la sua presa su un fatto può essere completa solamente quando è rafforzata dalla prova sensoriale; egli può conoscere davvero il mondo soltanto quando lo vede, lo sente e lo annusa. (Lord Byron)

 


Come molti viaggiatori ho visto più di quanto ricordi e ricordo più di quanto ho visto. (Benjamin Disraeli)

 


Viaggiare! Perdere paesi! Essere altro costantemente perché l’anima non abbia radici! Andare avanti, inseguire l’assenza di avere un fine e dell’ansia di raggiungerlo. (Fernando Pessoa)

 


Viaggiare deve comportare il sacrificio di un programma ordinario a favore del caso, la rinuncia del quotidiano per lo straordinario, deve essere strutturazione assolutamente personale alle nostre convinzioni. (Herman Hesse)

 


Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perchè. I loro desideri hanno le forme delle nuvole. (Charles Baudelaire)

 


Partire è la più bella e coraggiosa di tutte le azioni. Una gioia egoistica forse, ma una gioia, per colui che sa dare valore alla libertà. Essere soli, senza bisogni, sconosciuti, stranieri e tuttavia sentirsi a casa ovunque, e partire alla conquista del mondo. (Isabelle Eberhardt)

 


Io viaggio non per andare da qualche parte, ma per andare. Viaggio per viaggiare. L’importante è muoversi. (Robert Louis Stevenson)

 


Dove stai andando? Butta via la cartina! Perché vuoi sapere a tutti i costi dove ti trovi in questo momento? D’accordo: in tutte le città, nei centri commerciali, alle fermate degli autobus o della metropolitana, sei abituata a farti prendere per mano dalla segnaletica; c’è quasi sempre un cartello con un punto colorato, una freccia sulla mappa che ti informa chiassosamente: “Voi siete qui”. Anche a Venezia, basta che alzi gli occhi e vedrai molti cartelli gialli, con le frecce che ti dicono: devi andare per di là, non confonderti, Alla ferrovia, Per san Marco, All’Accademia. Lasciali perdere, snobbali pure. Perché vuoi combattere contro il labirinto? Assecondalo, per una volta. Non preoccuparti, lascia che sia la strada a decidere da sola il tuo percorso, e non il percorso a farti scegliere le strade. Impara a vagare, a vagabondare. Disorientati. Bighellona. (Tiziano Scarpa)

 


Viaggia. Cerca di farlo. Non esiste altro. (Tennessee Williams)

 


Le nostre valigie erano di nuovo ammucchiate sul marciapiede; avevamo molta strada da fare. Ma non importava, la strada è la vita. (Jack Kerouac)

 


Le persone viaggiano verso posti lontani per osservare, affascinati, persone che normalmente ignorano a casa. (Dagobert D. Runes)

 


Arrivai a New York nel pomeriggio. Presi una camera in un hotel vicino a Times Square. La stanza costava 110 dollari a notte ed era così piccola che se volevo girarmi dovevo uscire nel corridoio. Mai mi era capitato di stare in una stanza dove potevo, allargando braccia e gambe allo stesso tempo, toccare tutte e quattro le pareti. Feci tutto ciò che si fa in un hotel - giocherellai con le luci, accesi la tivù, sbirciai nei cassetti, misi tutti gli asciugamani e i posaceneri nella valigia - poi uscii per farmi un giro in città. (Bill Bryson. America perduta: in viaggio attraverso gli U.S.A.)


Il viaggio è come il matrimonio. Il metodo sicuro perché vada male è pensare di poterlo controllare. (John Steinbeck)

 


Non ci si rende conto quanto sia bello viaggiare, finché non si torna a casa e si posa la testa sul vecchio, caro, cuscino. (Lin Yutang)

 


Viaggiare è una brutalità. Obbliga ad avere fiducia negli stranieri e a perdere di vista il comfort familiare della casa e degli amici. Ci si sente costantemente fuori equilibrio. Nulla è vostro, tranne le cose essenziali – l’aria, il sonno, i sogni, il mare, il cielo – tutte le cose tendono verso l’eterno o ciò che possiamo immaginare di esso. (Cesare Pavese)

 


Quando viaggio mi piace avere qualcosa di interessante da leggere, per questo porto sempre con me il mio diario. (Oscar Wilde)

 


A chi mi domanda ragione dei miei viaggi, solitamente rispondo che so bene quel che fuggo, ma non quel che cerco. (Michel De Montaigne)

 


Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere: l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti. (Italo Calvino)

 


C'è gente che viaggia per conoscere persone nuove; io per dimenticare quelle che già conosco. (Giorgio Guccione)

 


È bello anche tornare a casa dopo qualche giorno da Farfalla. Con tempo per le ultime commissioni, prima di riprendere il lavoro. (Edvania Paes)

 


L'inferno turistico è tra i peggiori perché ti senti sepolto, impiramidato nella stupidità, e hai paura di essere dimenticato là sotto, che nessuno venga a tirartene fuori. (Guido Ceronetti)

 


Sottoprodotto della circolazione delle merci, la circolazione umana considerata come un consumo, il turismo, si riduce fondamentalmente alla facoltà di andare a vedere ciò che è diventato banale. (Guy Debord)

 


Il turismo è un'industria che consiste nel trasportare delle persone che starebbero meglio a casa loro, in posti che sarebbero migliori senza di loro. (Jean Mistler)

 


Lavoratori unitevi. Ma durante le vacanze sparpagliatevi. (Marcello Marchesi)

 


Essere in vacanza è non avere niente da fare e avere tutto il giorno per farlo. (Robert Orben)

 


Se uno facesse tutto ciò che deve fare veramente prima di partire per le vacanze, esse terminerebbero senza neppure essere iniziate. (Beryl Pfizer)

 


Uno dei sintomi dell'arrivo di un esaurimento nervoso è la convinzione che il proprio lavoro sia tremendamente importante. Se fossi un medico, prescriverei una vacanza a tutti i pazienti che considerano importante il loro lavoro. (Bertrand Russell)

 


Quello delle vacanze è il periodo che consente ai dipendenti di ricordarsi che le aziende possono continuare senza di loro. (Earl Joseph Wilson)

 


Ogni “impiegato” ne ha una. Sono nuvole maligne che stanno celate dietro le montagne anche 12 mesi, ma quando s'avvedono che il loro uomo sta per andare in ferie gli piombano sulla testa scaricandogli in nuca un quadrato di grandine in un metro per un metro e lo accompagnano implacabili. (Paolo Villaggio)

 


Ero sulla soglia di parecchie migliaia di ettari di splendida foresta, condivisa dalla Worthington State Forest e della Delaware Water Gap National Recreation Area. Il sentiero era curato e ripido quanto bastava perché vi si potesse fare esercizio all’aria aperta senza sottoporsi a un’ossessionante tortura. Bonus finale dell’esperienza: ero in possesso di cartine eccellenti. Mi trovavo infatti nelle mani cartograficamente premurose della New York – New Jersey Trail Conference, le cui carte topografiche sono stampate in ben quattro colori: verde per le foreste, blu per l’acqua, rosso per i sentieri e nero per le scritte. Si tratta di mappe chiaramente ed abbondantemente dettagliate e in scala ragionevole (1:36'000), e che indicano anche tutte le strade di collegamento e i sentieri secondari. È come se riuscendo a farti sapere dove ti trovi traessero una qualche forma di personale piacere. Non sono in grado di spiegare che genere di soddisfazione si provi nel poter dire, guardando una carta: “Ah, ecco dov’è Dunnfield Creek” o “Quella laggiù dovrebbe essere Shawnee Island”. Se tutte le cartine dell’Appalachian Trail fossero state precide anche solo la metà di queste, avrei goduto dell’esperienza almeno il 25% in più. Mi resi conto infatti che gran parte della mia indifferenza nei confronti dell’ambiente che mi circondava risiedeva semplicemente nel fatto che non avevo idea di dove mi trovassi. Ora finalmente potevo orientarmi, avere una percezione di quello che mi aspettava e sentirmi in qualche modo in contatto con un paesaggio in perenne mutazione eppure comprensibile. (Bill Bryson, Una passeggiata nei boschi)

 


Arrivato sulla prima spiaggia del percorso mi devo immergere in mare, non tanto per il piacere di un bagno quanto per la necessità di levarmi la condensa tropicale detta altrimenti schifoso sudore presente sull'epidermide. Dopo un bagno ristoratore riprendo la marcia alla volta della spiaggia Lopes Mendes che, secondo la infallibile Lonely Planet, potrebbe essere considerata come una delle migliori spiagge del Brasile. Non sono mai stato un gran appassionato di spiagge e bagni al mare. Forse è per questo che Lopes Mendes mi ha ricordato molto una spiaggia visitata anni prima sull'Isola di Olanda, in Svezia Ci sarebbe la possibilità di ritornare da Lopes Mendes a Vila de Abraao in barca, evitando sudore e serpenti. Ma penso che sia troppo "turistico" e mi accingo ad imboccare nuovamente il sentiero sotto lo sguardo allucinato di alcune persone spaparanzate in barca che, osservando me e un altro pugno di trekkisti maniaci che calzano scarpe cingolate, si domandano il classico: "ma chi glielo fa fare?". Mentre ritorno, con la pelle coperta da uno schifoso misto di salsedine, sabbia, protettore solare e sudore mi viene da pensare se forse non facciano meglio quelli che trascorrono quindici giorni di vacanza a bordo piscina di un Grand Hotel sorseggiando un succo di tamarindo servito da un cameriere, senza questo gusto per l'avventura e la ricerca della "vacanza disagevole". (Dario Rucco, Da capo a capo)

 


Mi rendo conto che sto assaporando nuovamente il piacere di viaggiare solitari. Senza dover rincorrere un gruppo. Con i nostri ritmi, sostando quando lo desideriamo. Non andiamo poi così veloci come dice Kim. Ci fermiamo per fotografare, per riposare e mangiare, per contemplare con calma. Inoltre, ogni tanto, un pensiero improvviso, una visione, un suono, un colore, una faccia. Mi blocco e prendo appunti dominata dal mio incontrollabile e frenetico bisogno di mettere nero su bianco. O tento di scrivere anche mentre pedalo, annotando parole deformi e quasi indecifrabili che si adeguano mansuete allo sconnesso fondo stradale e ai miei precari equilibri. Ripenso qualche volta anche al libro di Obes. Rifletto. Obes racconta della sua esplorazione a due ruote e parla di sé senza inganni, per questo mi piace. Non vuole mostrarsi eroico a tutti i costi. Insegna a viaggiare con le proprie paure, frustrazioni ed entusiasmi. Dalle sue avventure e dal suo modo di vivere l'esperienza del viaggio ci si rende conto che il vero viaggiatore non è colui che si affanna per arrivare a una meta, ma chi riesce ad assaporare il percorso che si compie per raggiungerla. Il luogo dove vorremmo già essere, il posto che ci attende. Ma nel mezzo, tra ciò che si lascia e ciò che si va a cercare, le emozioni del passaggio, gli occhi che osservano e il cuore che batte. Nel mezzo, spesso, la verità e l'onestà dell'itinerario.Chicken è solo un punto per sostare durante la notte, tuttavia è stato nel tragitto il momento più importante ed esaltante, anche se impegnativo e talvolta molto faticoso. Il sottosella mi duole, eppure non sono venuta qui per lamentarmi, ma per proseguire nella concreta, quanto intima esplorazione di una mia personale geografia terrestre. È nel contempo lo studio e la scoperta di me stessa oltre le regole stabilite, al di fuori del mio limitato giardino e al di là dei giudizi affrettati. Un itinerario tra i labirinti della mente e del corpo che spesso mi sorprende con insospettabili rivelazioni. Viaggio nel viaggio: un metaviaggio. Chicken nondimeno a dir poco spettacolare: una strada sterrata principale, e mi sa l'unica, e un intorno di montagne e tundra. Il centro del villaggio è semplicemente una fila di due gift shop, un restaurant-cafè e un saloon. L'essenziale, appunto. Le costruzioni tutte rigorosamente in legno, con insegne di legno o in ferro battuto, allegre e invitanti. Pittoreschi persino i bagni con decorazioni di galli e galline per separare uomini e donne. Tutto qui. (Sandra Segato, Nella terra degli orsi)

 


- Ecco come si comincia, - disse il mio amico, un marinaio d'acque profonde, uno di quelli che chiamerò Pilotis. Naturalmente non era quello il vero inizio. Chi può dire quando comincia un viaggio - non il movimento, ma il sogno del viaggio, che preme per farsi strada verso la realtà? Per questo viaggio in particolare posso citare un possibile incipit: sono un lettore di cartine, di solito non si tratta di carte nautiche, ma di carte stradali. Leggo le cartine come altri leggono le Sacre Scritture, lo stesso testo più e più volte, alla ricerca di una rivelazione; i libri che ho scritto cominciano tutti col mio sguardo che vaga sulle cartine del territorio americano. A casa ho un vecchio atlante stradale, talmente consumato che l'ho fatto rilegare, le pagine sono cosi lisce per quanto le ho tenute fra le dita che sospirano quando le giro. Ho evidenziato in giallo ogni strada che ho percorso, le pagine sono fitte di segni, ormai posso dire di aver visitato tutte le contee degli Stati Uniti continentali, Alaska esclusa, tranne una manciata nel profondo Sud dove andrò ben presto. Mettete un dito a caso su un punto qualsiasi della cartina degli Stati Uniti e io ci sono stato, o comunque sono stato a non più di quaranta chilometri di distanza, con l'eccezione dei deserti del Nevada, dove lo scarto può essere doppio. Non l'ho fatto di proposito, è capitato da sé, in quarant' anni dedicati a memorizzare il volto dell' America. Se qualcuno parla di Pawtucket o Cross Creek o Marfa voglio che mi appaia un'immagine dei miei viaggi; quando leggo luogo e data all'inizio di un articolo di giornale su Jackson Hole voglio che sia presente dentro di me l'orizzonte frastagliato del Teton e un penetrante profumo di pinon. Un abitante della Pennsylvania potrebbe chiedermi «Hai visto la taverna storica di Scenery Hill ?». E io voglio potergli rispondere: «Come sta il fantasma? Sono sempre buoni i cartocci di lievito?» Le parole che maggiormente hanno influenzato la mia vita sono quelle dell'autorevole Thomas Fuller, illustre storico della vecchia Inghilterra: «Conosci più che puoi il tuo paese d'origine prima di affacciarti oltre i suoi confini». Vent' anni fa avevo già percorso cosi tanti chilometri di strade americane che sapevo ormai in agguato il giorno in cui non avrei più potuto prendere il volo verso posti nuovi - come Huck Finn, originario del Missouri come me, nonché viaggiatore fluviale. Fu allora che notai la ragnatela di linee azzurro pallido che ricamavano il mio atlante come vene varicose. Erano fiumi. Cominciai a seguire col dito quelle contorsioni, alla ricerca di un modo per attraversare l'America in barca. Dapprima fui semplicemente curioso di sapere se fosse possibile o meno effettuare un simile viaggio senza uscire dall'acqua troppe volte e per tratti troppo lunghi, ma poi presi a pensare con interesse crescente a come sarebbe apparsa l'America vista dai fiumi e a desiderare di poter osservare quei luoghi segreti nascosti a chi viaggia sulle strade. Un viaggio del genere mi avrebbe permesso senz' altro di accedere a nuovi territori e a più vaste conoscenze, ma non fui capace di trovare una via fluviale attraverso il continente che non comportasse molti chilometri di trasbordo e un ampio ricorso ad acque di frontiera - il Golfo del Messico o i Grandi Laghi. Io volevo una via che solcasse la nazione dall'interno. (William Least Heat-Moon, Nikawa)

 


A Portsmouth l'Ohio cessa quasi del tutto di scorrere a sud e punta decisamente a ovest, mantenendo quella direzione per più di centosessanta chilometri; questi particolari topografici ci regalavano la sensazione di raggiungere un risultato e rafforzavano la nostra volontà di proseguire, volontà che veniva messa a dura prova ogni volta che davamo un'occhiata alla cartina degli Stati Uniti e vedevamo quanta strada ci restava da fare. Ogni tanto ci mettevamo a parlare di esploratori, pionieri, viaggiatori dei tempi andati, della natura, del fatto che l'America, forse più di ogni altra nazione, aveva costruito se stessa e molti dei suoi miti sull'espansione verso ovest, un'idea molto presente allora come adesso, nonché fonte del più potente topos della nostra storia: il viaggio. Andare a ovest era un istinto ovvio in un paese i cui abitanti avevano tutti gli antenati nell'emisfero orientale e i cui leader consideravano l'espansione verso occidente come un destino inevitabile da realizzare per il bene dell'umanità, senza preoccuparsi troppo della gente che da quelle parti ci viveva già e ogni tanto si trovava fra i piedi. Il destino degli americani era di partire verso il mare, dove tramonta il sole, di prendere la terra e rimodellarla a propria immagine e somiglianza. Noi, cosi prosegue il ritornello della nostra storiografia, discendenti di un ipotetico giardino dell'Eden, avevamo il compito di crearne uno nuovo di zecca. (William Least Heat-Moon, Nikawa)

 


Un ultimo aspetto del falso viaggio sono le cartoline illustrate, che occupano uno spazio spropositato nella mente del turista italiano. Raramente costituiscono una gioia. Spesso provocano ansia genuina. C'è chi ha sentito dire che spedire cartoline non è più chic, ma non sa come informare della novità gli anziani genitori; chi non sopporta di sprecare tempo prezioso umettando con la lingua i francobolli, e si lamenta che qualche sadico li faccia sempre più grandi; chi va in vacanza da qua-rant'anni a Nizza e non sa più che cartoline spedire, perché ormai ha esaurito tutte le possibili angolature di Nizza. Tutti costoro potrebbero salutare con entusiasmo l'iniziativa di un pensionato del Connecticut di nome Palmer Chambers, il quale, dopo aver abbandonato il commercio per corrispondenza delle vitamine, ha fondato la società «Beforehand Cards» (Cartoline preventive) e soccorre i vacanzieri in questo modo: basta segnalare con buon anticipo l'itinerario del proprio viaggio, e vengono recapitate le cartoline illustrate dei luoghi in questione. L'acquirente le scriverà prima di partire. Arrivato a destinazione, non perderà un minuto delle proprie vacanze. Le cartoline non dovrà più acquistarle, scriverle e indirizzarle. Le avrà già in tasca, pronte: dovrà semplicemente imbucarle. Tutto questo è valido in teoria. Potrebbe funzionare, cioè, con un popolo diverso da quello italiano. In Italia il signor Chambers — il quale assicura di avere in archivio panorami e tramonti provenienti da cento-trenta Paesi del mondo — incontrerebbe serie difficoltà. Innanzitutto, gli italiani si muovono per il mondo come se avessero la tarantola, ed è certo che le prime richieste riguarderebbero i quaranta Stati che non sono nell'archivio (Turks e Caicos, Burkina Faso e sultanato del Brunei). Un altro problema sarebbe quello della scelta delle cartoline. Se gli americani appaiono facili da accontentare — di solito sono felici con una fontana e, quando li trovano, con i grattacieli — gli italiani hanno gusti più complicati. Esistono gli appassionati delle vedute aeree, che spediscono praticamente la stessa cartolina da trent'anni: che siano a Bordeaux, a Urbino o a Dublino mandano sempre l'identica immagine di tetti rossi che sembra ripresa da una sonda spaziale. All'estremo opposto stanno gli appassionati dei dettagli artistici, i quali spediscono solo le ali di angeli affrescati e gli occhi bovini delle statue. È chiaro che il signor Chambers del Gonnecticut, qualora si vedesse richiedere una cartolina con l'immagine dell'angelo della navata di sinistra della chiesa di Nostra Signora delle Nevi a Praga, potrebbe avere qualche difficoltà.
Altre sorprese seguirebbero. Gli italiani, dicendo di detestarle, amano le cartoline illustrate perché permettono di esercitare anche in vacanza quello che resta il grande passatempo nazionale: lamentarsi. Una cartolina acquistata sul luogo di villeggiatura permette infatti di protestare per: a) il costo della cartolina stessa; b) la difficoltà di reperire i francobolli; e) la scocciatura di doversi portare appresso l'agenda con gli indirizzi; d) il fatto che sull'agenda l'indirizzo richiesto sia sprovvisto di numero civico e codice postale; e) l'obbligo, se si scrive a un parente, di scrivere anche a tutti gli altri; f) la difficoltà di trovare una frase originale (l'alternativa, alla fine, si riduce a «cari saluti» e «molti saluti»; gli stranieri vergano invece lunghe missive, andando a scrivere anche tra i dentini dei francobolli). Tutti questi problemi costituiscono deliziosi argomenti di conversazione, e consentono di trascorrere piacevoli giornate in compagnia sulle spiagge, negli atrii degli alberghi e nelle sale d'attesa degli aeroporti del mondo. (Beppe Severgnini, Italiani con valigia)

 


Un viaggio di un anno in giro per il mondo è un'opportunità per imparare qualcosa di più sulla geografia del nostro pianeta. Più vado avanti, infatti, e più mi rendo conto di quanto le nostre conoscenze in questo campo siano contaminate da una percezione distorta della realtà che ci circonda. Ogni popolazione ne è vittima, a modo suo, a seconda del paese in cui vive, del continente, del clima e della filosofia che ne ha formato la cultura in secoli e secoli di storia. (Alberto di Stefano, Il giro del mondo in barcastop)

 


Parcheggiai la macchina in una strada laterale e camminai lungo la marina, passando davanti alle vetrine di negozi di inattesa pomposità: Prada, Hermès, Ralph Lauren. Tutto perfettamente elegante. Solo che non c'era nulla di interessante. Non avevo bisogno di farmi tredicimila chilometri per dare un'occhiata agli asciugamani da bagno di Ralph lauren. Forse è il mio innato pessimismo, ma ho come l'impressione che viaggiare ai nostri giorni significhi soprattutto vedere le cose quando è ancora possibile.
In quei giorni (1950), Alice Springs aveva quattromila abitanti e rarissimi visitatori. Oggi è una prospera cittadina con venticinquemila abitanti ed è piena di visitatori -trecentocinquantamila all'anno- che naturalmente rappresentano il problema. Oggi potete arrivare in aereo da Adelaide in due ore, da Melbourne e Sydney in meno di tre. Potete avere un caffè espresso con il latte e comprare qualche opale e poi salire su un pullman turistico e percorrere la strada che conduce ad Ayers Rock. La città non è diventata solo accessibile, è diventata una destinazione. È così piena di motel, hotel, centri congressi, campeggi e località desertiche da visitare che non potete pretendere nemmeno per un momento di aver fatto qualcosa di eccezionale a venire fin qui. È davvero pazzesco. Una comunità che un tempo era celebre per essere remota ora attrae migliaia di visitatori che vengono a vedere quanto poco remota sia diventata. (Bill Bryson, In un paese bruciato dal sole)

 


Gli oggetti ricordo ormai si somigliano in tutto il mondo. L'omologazione dei souvenir è un fenomeno inquietante solo perché innegabilmente va incontro a una straordinaria domanda di indifferenziazione. Del resto, portare a casa dalla Giamaica un gattino di vetro fatto a Hong Kong, è anche una scelta estetica. Secondo la OECS, i turisti spendono ogni anno ai Caraibi 47 milioni di dollari per questo pseudoartigianato, che in buona parte proviene dall'Asia. (Duccio Canestrini, Turistario)

 


I had observed that most people who wrote stories of travel journeyed over the country in firstclass coaches. They visited only the great cities and points of known interest. . . . Their stories are of beaten paths and, dress them as artistically and originally as they may, they are only telling a tale that has been told. While making no particular claim to superiority in writing, I thought by assuming the garb of a sailor and traveling as one of the plain, everyday toilers I could get closer to nature and her children and tell a story of our country such as had never been told. (John Albert Krohn. The walk of Colonial Jack)

 


L'exploration du Globe se poursuit avec une activité fébrile. A l'heure qu'il est, nulle région de la Terre n'est absolument inconnue. L'ère des reconnaissances rapides, des voyages de simple découverte, est bien près d'être close. A part les contrées arctiques, surtout antarctiques, et des territoires de plus en plus restreints du Sahara, du centre de l'Asie et de l'Afrique, les blancs quelque peu étendus disparaissent de nos cartes avec une rapidité merveilleuse. Les expéditions qu'organisent les gouvernements ou de simples particuliers comptent dans leur sein des spécialistes : géologues, botanistes, zoologistes, météorologistes, etc., pourvus des meilleurs instruments et rompus aux méthodes rigoureuses d'observation scientifique. Il est passé le temps où l'on se contentait de récits amusants, écrits avec humour et parsemés d'anecdotes plus ou moins drolatiques. Les globe-trotter ne peuvent aspirer au rôle de véritables découvreurs. (Annuaire de l'instruction publique en Suisse, 1910)

 


Nonostante i recenti miglioramenti, intraprendere un raid intercontinentale rimane una sorta di puzzle burocratico, nel quale il viaggiatore deve cercare di comporre l’intero quadro facendo combaciare tempi, luoghi e costi nel modo più efficace ed economico possibile. I pezzi che maneggerà sono i visti consolari, i permessi e documenti di altra natura, per sé e per il suo fedele compagno di viaggio: il veicolo, che anche da questo punto di vista richiede attenzioni non indifferenti. Sarà un lavoro duro, fatto di code e attese interminabili, telefonate lunghe e dispensiose, fax e, da qualche anno, e-mail e nottate sugli instabili meandri di Internet. Un viaggio nel viaggio, quasi più estenuante della spedizione vera e propria. (Paolo Brovelli. Sulle ali di un Ape)

 


Così, dunque, Phileas Fogg aveva vinto la sua scommessa. Aveva compiuto in ottanta giorni un giro completo del mondo! Per portarlo a termine aveva utilizzato tutti i mezzi di trasporto: piroscafi, ferrovie, carrozze, “yachts”, navi da carico, slitte, elefanti. L’eccentrico “gentleman” aveva svelato in questo affare le sue meravigliose qualità di sangue freddo e precisione. Ma in seguito? Che cosa aveva guadagnato con tutto quel movimento? Che cosa si era portato indietro da quel lungo viaggio? “Niente”, forse dirà qualcuno. Sì, niente, al di fuori di una donna attraente la quale – per quanto la cosa possa sembrare inverosimile – lo rendeva il più felice degli uomini! E in verità, non si farebbe volentieri anche per meno di questo l’intero Giro del Mondo? (Jules Verne. Il giro del mondo in 80 giorni)

 


La terra è rotonda, e facendone tranquillamente il giro ci si ritrova un giorno al punto di partenza, già pronti per un altro viaggio. Quanti sono i sentieri, le strade, i villaggi, le città, le colline, i boschi, i mari, i deserti, tanti sono i percorsi per raggiungerli, sentirli, osservarli, per abbracciare la memoria nell’esultanza di essere in quel luogo. I sentieri, la terra, la sabbia, le rive del mare, perfino le pietre e il fango, sono a misura del corpo e del brivido di esistere. (David Le Breton. Il mondo a piedi)

 


Viaggiare a piedi significa limitarsi all’uso delle cose essenziali. Il carico da portare deve essere ridotto all’osso: il minimo di indumenti e accessori, qualcosa per fare il fuoco e non morire di freddo, qualche strumento di segnalazione, del cibo, a volte delle armi, naturalmente dei libri. Ogni concessione al superfluo si paga in termini di fatica, di sudore, di rabbia. Camminare significa mettersi a nudo, scoprirsi in un faccia a faccia con il mondo. (David Le Breton. Il mondo a piedi)

 


Ci troviamo immediatamente di fronte a uno strano paradosso: è il planisfero che appare minuscolo e il mondo vasto, o è vero l’inverso, ed è il planisfero che appare vasto mentre il mondo è minuscolo? Perché, confidando nella modernità dei trasporti , ogni luogo può essere ormai raggiunto in tempi molto decorosi, nonostante la sua natura e distanza. I luoghi anticamente più remoti (l’India di Marco Polo, l’Africa di René Caillié, l’Oriente di Nerval, l’Oceania di Bougainville) oggi possone essere raggiunti per vie d’accesso tracciate su mappe ormai definitivamente prive di chiazze bianche. Qualsiasi destinazione è diventata accessibile: è solo questione di tempo. In questo campo del possibile, come scegliere un luogo? E quale? A quale rinunciare? E per quali ragioni? Tra le combinazioni pensabili, quali prediligere e perché? (Michel Onfray. Filosofia del viaggio)

 


“Che cos’è un turista?” si domandava l’autore svedese Carl Jonas Love Almqvist in una serie di resoconti giornalistici da Parigi nel lontano 1840. A quell’epoca la parola “turista” indicava un concetto ancora nuovo, importato dalla Gran Bretagna e circondato da un discreto alone di curiosità. Che cos’è un turista e come lo si diventa? Stava emergendo una nuova forma di consumismo, basata sull’idea di lasciare la casa e il lavoro alla ricerca di nuove esperienze, di piacere e di svago. (Orvar Löfgren. Storia delle vacanze)

 


Sé stessi, questa è la grande questione del viaggio. Sé stessi, e nient’altro. O così poco. Una quantità di pretesti, di occasioni e di giustificazioni, certo, ma, di fatto, ci si mette in cammino spinti soltanto dal desiderio di partire incontro a sé stessi nel disegno, molto ipotetico, di ritrovarsi, se non di trovarsi. Lo stesso giro del mondo non sempre è sufficiente a raggiungere questo faccia a faccia. A volte, nemmeno un’intera esistenza. Quante deviazioni, e per quanti luoghi, prima di scoprirsi in presenza di ciò che solleva un po’ il velo dell’essere? I tragitti dei viaggiatori coincidono sempre, segretamente, con ricerche iniziatiche che mettono in gioco l’identità. Anche in questo, il viaggiatore e il turista si distinguono radicalmente, e si contrappongono definitivamente. L’uno cerca incessantemente e qualche volta trova, l’altro non cerca alcunché, e neanche lui, di conseguenza, ottiene nulla. (Michel Onfray. Filosofia del viaggio)

 


In modo compulsivo, alcuni ritornano nei posti già visitati, ritrovando abitudini da sedentari nel cuore stesso dell’esperienza nomade: andare cinquanta volte in Vietnam, cento volte in Giappone, ritornare sempre sugli stessi luoghi, che strana idea! Questi compulsivi mi fanno pensare ai preti che leggono per tutta la propria vita lo stesso messale, ignorando la ricchezza e la varietà delle biblioteche. Il valore della geografia del pianeta sta prima di tutto nella diversità, nella differenza, nella molteplicità. Fa esultare la passione per il nuovo, per l’inedito, per la novità stravagante. Rivedere qui impedisce di vedere altrove, sostare ripetutamente, perfino agli antipodi, interrompe la corrente delle possibilità nomadi e degli effetti violenti del viaggio sul corpo e sull’anima. Si rischia di stabilire la sedentarietà nel cuore stesso del principio nomade. (Michel Onfray. Filosofia del viaggio)

 


E sarò in grado di combattere gli oscuri abissi della solitudine che mi attende e di dominarne le delizie? E, soprattutto, saprò trarne profitto? Perchè questa solitudine non è una fuga, ma è una libera scelta. È una lavagna su cui scriverò il seguito. Un campo nel quale pianterò pensieri, spinosi o lisci, che sbocceranno pienamente soltanto al ritorno. Ma chi dice che il ritorno sarà così certo? Mi lancio in questa avventura non senza qualche pensiero sulla mia morte. (Bernard Ollivier, La lunga marcia)

 


Il viaggio a piedi, in solitaria, pone l’uomo di fronte a se stesso, lo libera dal vincolo del corpo, dall’ambiente abituale che lo trattiene all’interno di una visione del mondo scontata, ragionevole e condizionata. I pellegrini si sentono quasi sempre cambiati dopo un cammino così lungo, proprio perché hanno trovato una parte di se stessi che forse non avrebbero mai scoperto senza quel lungo faccia a faccia. Ed è anche il motivo per cui bisogna privilegiare il cammino solitario, il che non impedisce di ritrovare con piacere gli amici ad ogni tappa. Qui sta il vantaggio che hanno su di me il pellegrino o il carovaniere sulla via della seta. La sera, con gli altri viandanti, anche se non condividono credenze, fatiche e scoperte, possono scambiare, paragonare sensazioni, stupori, sottoporre a critica le idee che hanno sviluppato durante il giorno. (Bernard Ollivier, La lunga marcia)

 


- Mi piacerebbe girare il mondo. Adoro guardare le targhe delle auto. Mi porterei un cane però. Tu ce l'hai il cane?
- Né cani, né gatti, né cocorite. La mia è un'impresa solitaria per dimostrare agli americani che una persona può viaggiare senza animali al seguito.
- Non è possibile viaggiare senza un cane!
- Amo rendermi la vita difficile.
- Al diavolo! Io mi porterei un cane per parlargli insieme. E per difesa.
- Girare il mondo parlando a un cane anziché alla gente che incontri per strada non è viaggiare. D'altra parte, la solitudine durante la marcia ti rende disponibile agli altri durante le soste. Se viaggi da sola diventi socievole. (William Least Heat Moon, Strade blu)

 


Gli ultimi 8 anni li ho passati viaggiando. Prima di iniziare questa vita vagabonda avevo 27 anni, vivevo in un paese della provincia di Venezia, lavoravo come dipendente e la ragazza che amavo da una vita si era appena sposata. Mi sentivo in gabbia. Avevo un amico che come me voleva scappare dalla routine e un giorno, seduti al tavolo della cucina di casa mia, guardammo la piantina del mondo appesa al muro e puntammo il dito a caso. Si fermò sull’Australia. Quando entrai nell’ufficio del dirigente del mio ufficio e gli dissi che me ne sarei andato, lui mi chiese se volevo un aumento. “No – gli risposi – voglio viaggiare”. Qualche settimana dopo eravamo in Australia, decisi a restarci a lungo. (De Giglio L., Il mio lavoro di giramondo)

 


Che il villaggio sia alle Baleari, alle Maldive, o ai Caraibi non cambia molto se non, ma neanche troppo, per la cucina. Non la pensano così i clienti, per la gran parte dei quali quel che conta è non è tanto come si è stati e cosa si è visto, quanto il poter dire di essere andati all'altro capo del mondo. (Giuliano Bellezza, Geografia e beni culturali)

 


Così selvaggia e insaziabile è la vera voglia di viaggiare, lo stimolo di conoscere e di sperimentare cose nuove, che nessuna conoscenza e nessuna esperienza riescono a saziare. Uno stimolo che è più forte di noi e di tutte le catene, che vuole sempre più sacrifici da chi ne è dominato. (Hermann Hesse)

 


Questo libro è il semplice diario di viaggio di un giovane europeo di diciotto anni sfuggito da poco alle minacce e alle privazioni della Seconda guerra mondiale, che parte alla scoperta del nuovo mondo. Certe descrizioni e molte delle riflessioni via via annotate in queste pagine potranno sembrare ingenue e perfino puerili. Ma il lettore di oggi accetti di seguirmi con indulgenza sulle strade del mondo, cercando di immaginare le condizioni di viaggio nell'estate del 1949, epoca alla quale risale il mio racconto. Un'epoca in cui gli aerei non attraversavano ancora l'Atlantico. Un'epoca in cui la televisione non aveva ancora cominciato ad avvicinare i popoli e a omologare usi e costumi. Un'epoca in cui perfino il telefono era un oggetto eccezionale. In tre mesi di lontananza non parlai mai al telefono con i miei genitori. Ma sono felice e fiero di dirlo: aprendomi le porte del mondo, stimolando la mia curiosità, costringendomi a superare le mie paure di adolescente, quel primo grande viaggio fu il più bel regalo che il cielo potesse offrirmi all'alba del mio destino di uomo. (Lapierre Dominique. Un dollaro mille chilometri)